ROMA — Il numero di Paesi in linea con la battaglia che l’Italia sta portando avanti con il suo piano per modificare la transizione verso l’elettrico è aumentato. Non è detto però che basti: in Europa, per portare a casa il risultato, non è sufficiente avere la maggioranza dei voti. Bisogna pesarli. Soprattutto quando all’appello mancano Paesi come Germania, epicentro della crisi delle quattro ruote scoppiata con l’annuncio delle chiusure di tre fabbriche di Volkswagen e Stato che esprime la presidente della Commissione Ue, e Spagna, dove l’auto è uno dei comparti fondamentali. E sarà la tedesca Ursula von der Leyen a portare avanti la partita in prima persona con un dialogo strategico con tutte le parti in causa. «Condurrò io le consultazioni in maniera diretta. È un settore fondamentale per l’Europa», ha detto aggiungendo che «riuniremo tutte le parti interessate intorno a un tavolo per ascoltarci a vicenda». Vanno progettate le soluzioni per «una transizione profonda e dirompente».

Dopo che il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, ha messo sul tavolo al Consiglio competitività il non-paper sull’auto sono 15 gli Stati che in un modo o nell’altro – firmando o sostenendo a parole – si sono espressi a favore: Repubblica Ceca, Austria, Malta, Polonia, Romania, Bulgaria, Slovacchia, Estonia, Cipro, Croazia, Grecia, Slovenia, Belgio e Lettonia. Tra i contrari oltre alla Spagna, Danimarca, Svezia e Irlanda. Se la Germania è rimasta defilata, la Francia invece sembra disponibile ad un confronto. Le proposte? Rivedere il percorso per arrivare al 2035, quando nel Vecchio Continente non si potranno più vendere auto nuove con motore termico ma solo elettriche. Ottenere poi la creazione di un fondo europeo per sostenere il settore che per l’Acea, l’associazione dei costruttori europei, vale 13 milioni di addetti, il 7% della forza lavoro della Ue. «Siamo soddisfatti della convergenza sulla nostra proposta – dice Urso – bisogna intervenire con urgenza, la situazione è drammatica. Una pericolosa tempesta perfetta».

Crisi che è scoppiata dopo gli annunci di chiusura di Volkswagen e Audi. Poi non sono mancati gli esuberi, tra Nissan e Ford, e la revisione al ribasso degli obiettivi delle Case. E sullo sfondo le multe che nel 2025 i costruttori dovranno pagare se non rispetteranno i nuovi limiti di emissioni di CO2 decisi da Bruxelles. Tra i 15 e i 17 miliardi. Sul punto Urso pensa ad una riforma strutturale, perché un semplice slittamento sposterebbe solo il problema. «Le parole di Von der Leyen ci rassicurano – dice Urso – sul fatto che il tema sarà centrale nei primi 100 giorni della nuova Commissione». L’Italia spera in una revisione, arrivando ad affermare il principio della neutralità tecnologica: mantenere gli obiettivi di taglio delle emissioni di CO2, ma senza l’obbligo di raggiungerli con le sole auto a batteria. Una linea che non trova ancora spazio in Ue.

Fonte